A COME ARTE – PARMA CELEBRA BODONI NEL BICENTENARIO DELLA MORTE a cura di Rita Guidi

La grazia, nel gergo tipografico, indica l’apice del corpo del carattere. Dunque ciò che più distingue, visivamente, il disegno delle singole lettere. Per Bodoni, per il suo intenso e superbo romano moderno, la grazia è un cenno semplice, netto, sobrio, elegante: è arte. Un’ispirazione e un’aspirazione per tutti. Anche per chi voglia raccogliere in poche righe il mondo così intenso di storia e di curiosità che si raccoglie nella mostra che Parma gli ha dedicato in occasione del bicentenario. Nella scenografia del Teatro Farnese, in Galleria Nazionale, in Biblioteca Palatina: opportuno destino per chi, a Parma fu chiamato proprio dal Paciaudi, l’allora bibliotecario, nel 1768 (e per sempre). 
Giambattista Bodoni, già affermato tipografo, giungeva dalla piemontese Saluzzo, dove era nato nel 1740. Una data che divenne stimolo, duecento anni dopo, proprio alla realizzazione di un museo sempre qui immaginato, il primo dedicato alla tipografia in Italia (i più antichi si trovano a Magonza Gutemberg Museum, e ad Anversa, Museum Plantin-Moretey).
Ma il 1940, purtroppo, apriva ben altre prospettive. Solo vent’anni dopo, da quell’idea sarebbe nata la Fondazione Museo Bodoniano, e il 16 novembre 1963, (questa volta nel 150° anniversario della scomparsa) la Gazzetta di Parma avrebbe dato notizia dell’inaugurazione ufficiale.
Oggi la mostra, nelle eleganti gallerie dalle strutture a volta della Pilotta farnesiana. In luoghi nei quali, prima nello splendore delle strutture e degli spazi, poi in quello delle pagine, occorre misurare la bellezza. Perchè è vero, uno sguardo basta: il disegno esatto e limpido delle parole – immagine prima che significato – la loro disposizione in totale e semplice equilibrio, dicono subito di un’arte, di una smania di perfezione, che qualcuno, come un paziente orefice, ha misurato in frazioni di millimetri.
Piombo, rame, inchiostro, ma come oro, nei frontespizi su carta immacolata delle Rime di Francesco Petrarca (1799) o dell’Iliade, in greco, di Omero (1808), di quattro tragedie di Voltaire, come in una precorritrice idea di collana editoriale.
Un modello di impaginazione che portò a compimento l’idea, ancora appena appena perfettibile, iniziata col volume Epithalamia exoticis linguis reddita, prima grande opera bodoniana, realizzata (a proprie spese) nel 1775, e destinata ad essere un omaggio dei piemontesi al loro principe.
Sì. Uno sguardo potrebbe bastare. Come al celeberrimo manuale Fregi e maiuscole incisi e fusi da G.B.Bodoni. Ma qualcuno potrà raccontarvi come. Le vetrine che percorrono gli spazi centrali della galleria proteggono arnesi che è bello immaginare al lavoro. Incisione, fusione, limatura. Oltre il fumo emergono i punzoni d’acciaio, poi battuti con forza e precisione su tavole di rame a formare le matrici dei caratteri.
Selezione di una raccolta di oltre 25.000 punzoni e 50.000 matrici, per un totale di circa 80.000 caratteri: cento tipi di tondo e di corsivo, ventotto tipi di greco, una serie di cirillici, finanziere e cavallereschi.
Nessuna parola al mondo sfuggiva al grande tipografo. Che per questo ha segnato il mondo delle parole. Genio riconosciuto anche tra i contemporanei: più di una vetrina illustra elogi e riconoscimenti. Preziosa l’Oratio dominica papale, in 155 lingue. Curioso il foglio che inviò in ringraziamento, per essere iscritto al circolo dell’Arcadia di Parma, all’”immortale Iperide Foceo, vigilantissimo vice- custode della colonia parmense”.
La firma del Bodoni arcadico, Alcippo Persejo. Persejo, forse, come Perseo, invisibile e alato figlio di Zeus. 

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