IL TORRENTE CINGHIO
Il viscontello scrittore Proust-quando però questi aveva otto anni e Villa il nano nella notte
risalirono le foci del torrente Cinghio, muniti di un coltellino multiplo svizzero e una sacca sulle spalle piena di una caciotta e due birre. Così camminando e camminando arrivarono a Casarola e sedutosi sull’erba a fare colazione-all’alba sentirono un gran frastuono: un cascinaio con il suo camioncino era precipitato in un burrone e il latte di cui erano pieni i bigonci riempirono il torrente cominciando a fluirne dentro e il nano si chinò sull’orlo della ferita della terra-solco del letto lasciato dall’acqua nei secoli-e comiciò a berlo provando una lussuria divina, perché il latte era gelido di rugiada e sapeva di miele, siccome lo scorrere delle acque aveva sradicato dagli alberi diversi alveari-mescolandone la mela(in dialetto Parmigiano il miele). Infine nelle rapide del torrente veniva trascinata una carcassa di cinghiale, che vi era annegato.
IL PENNINO
Il bambino poeta Attilio, da alchimista riempiva le guarnizioni dei suoi pennini stilografici di succo nero di more come inchiostro, che andava a raccogliere nei rovi dei sentieri dei paesi gibbetti di montagna: Villula, Montebello e Casarola-come i suoi frutti preferiti-, e poi scriveva su foglie secche di banani fabuline in forma di poesie elementari su lupi girovaganti sul monte Soprano e le depositava in forma anonima sul davanzale della stanza del maestro in un convitto parmigiano e l’insegnante che non voleva si componesse in versi, con la bacchetta facendo l’appello, lo guardava di traverso, riconoscendo in Attilio, che rispondeva
presente con la erra moscia-come nel tipico accento ducale e francese, l’autore.
IL FETO DI PANTERA
Ad Attilio Bertolucci ed al suo prevosto purificatore, nonché padrino:don Tramaloni in giro per Casarola successe un fatto balzano.I due-intenti a raccogliere more, tolsero da un cespuglio al posto di quel frutto dolciastro-un feto minuscolissimo di pantera, come inchiodato su un spino, e il prete esclamò che questo felino erano nominato nell’Apocalisse come simbolo del male, inoltre alzando gli occhi videro un’aquila tornare sul monte Soprano a voli concentrici con nel becco un cuore vermiglio di coniglio selvatico-come pasto giornaliero-che il rapace aveva estratto dalle interiora e budella dell’animaletto bianco e morbido come l’ovatta.