L’UOMO CHE NON CONTAVA I GIORNI a cura di Rita Guidi

Alberto Cavanna
L’uomo che non contava i giorni


 Viviamo spesso abbagliati da una luce che non c’è. Prigionieri di un palcoscenico grigio che illumina trionfi di superficie, incorona egoismi imbellettati. Difficile riuscire a distinguere chi brilla davvero: nel buio, nel silenzio, nell’indifferenza. Come i protagonisti di questo romanzo, insieme straordinario e semplice, di Alberto Cavanna, dal titolo “L’uomo che non contava i giorni” (Mondadori, 152 pagg., 10 euro). Ultima prova di un autore che insiste su temi e luoghi che gli sono propri: la sua Liguria, il piacere antico del legno che diventa vita, che diventa barca, il respiro eterno del mare.
 C’è tutto questo, nella cesellata, commovente, suggestiva semplicità di questa storia, di queste pagine. E c’è tutto questo perché (come in un’eco verghiana, come in una preghiera, o in una quotidiana poesia) Cavanna ci invita ad arrivare all’essenza. A ritrovare l’essenza. A liberarsi del grigio per ritrovarne i colori primari. A evitare il vortice delle correnti, e scegliere di sottrarsi al naufragio della nostra umanità. Che poi è cio’ che fanno (che riescono a fare) un vecchio e un nero: la stessa emarginazione nella solitudine dell’uno e nella clandestinità dell’altro.
 Sul dolore comune, insiste del resto piu’ volte l’autore, che una pagina dopo l’altra ci indica (ci ricorda) – oltre la sofferenza – il limpido somigliarsi di ogni riflesso di uomo.
 Mohamed è sfuggito alla fame e alla morte fino ad addormentarsi esausto davanti al magazzino del vecchio. Il vecchio sfugge agli anni, ai problemi, ai ricordi, dedicandosi esausto a costruire una barca. Il ragazzo si alza, si scusa, sta per andarsene. Il vecchio lo sgrida, lo guarda, lo invita ad entrare, divide la propria focaccia e gli dà da mangiare. Non sappiamo nulla del ragazzo, ma lo scopriremo (la povertà e la speranza, i barconi e la disperazione) perché il vecchio gli chiede – un giorno dopo l’altro – di aiutarlo a costruire quella barca. Ma quel che sappiamo del vecchio (e che scopriremo nelle lacrime asciutte di dolorosissimi ricordi) è già tutto in quel gesto, in quella scelta, in quell’offerta. In quel riconoscersi: uniti nello stesso respiro del mare, e in giorni fermi, sospesi su una speranza perduta. E’ il presente che uccide, se la speranza non nutre il nostro futuro. Eppure. Da soli forse no, ma insieme possono farcela: il vento di Dio può ancora (e potrà sempre) gonfiare le vele, illuminare la notte. Sottrarli al grigio di un mondo (toccanti e brutali le pagine nelle quali impongono al vecchio di liberare il magazzino) senza futuro. Portarli via da quell’umanità in attesa. Aggettivo, non sostantivo: come desiderio negato di essere uomini.


a cura di RITA GUIDI
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